Il datore di lavoro è il soggetto obbligato a redigere la valutazione dei rischi sul lavoro, il DVR dunque è il processo soggettivo di attribuzione di valore ai rischi classificati e redatti secondo una graduatoria. Il DVR si conclude con un PIANO DI MIGLIORAMENTO NEL TEMPO: promessa di eliminazione o riduzione di un rischio entro una scadenza fissata (sempre a discrezione del datore di lavoro).
Tutto chiaro?
Da chi deve essere fatta la valutazione dei rischi sul lavoro?
Partiamo dall’assunto che la valutazione deve essere fatta dal Datore di Lavoro ed è un obbligo non delegabile…
Quindi nostro dovere è spiegare ai Capitani D’Azienda il senso del loro “dovere”.
Senso del “dovere”
Sfogliando l’enciclopedia treccani, in corrispondenza del termine “valutazione” troviamo la definizione formale:
Valutazione: determinazione del valore di cose e fatti di cui si debba tenere conto ai fini di un giudizio o di una decisione, di una classifica o graduatoria.
Da questa autorevole fonte emerge una considerazione eclatante, che “la determinazione di valore” è un processo soggettivo! in quanto attribuire valore di cose e fatti sappiamo bene è una questione relativa, che ciascuno fa a modo proprio…
Ciascun datore differisce per settore, esperienza, età, educazione…ne consegue che il valore attribuito ai rischi (valutazione) sia anch’esso differente da persona a persona..
Un valore è qualcosa che “vale”, ma quanto vale? per me di piu’ per te di meno..
La valutazione si manifesta infatti come un processo soggettivo, dove non esiste una regola esatta ma è viene soppesata diversamente da soggetto a soggetto.
Quindi come fare una corretta valutazione?
Visto che il processo di attribuzione del valore di una cosa o un fatto è arbitrario si potrebbe pensare che diversi datori di lavoro potrebbero dare valutazioni (valori) diverse allo stesso rischio e quindi quale sarebbe la valutazione “giusta”?
La risposta è: nessuna! o, meglio, tutte sono corrette se fatte come spiega bene la definizione di Treccani.
Cerchiamo di rendere un po’ piu’ semplice il concetto.
Il nocciolo della questione è questo: l’importante è che ogni datore di lavoro dimostri di aver seguito un percorso logico e razionale nel processo valutativo, il cui esito sarà anche probabilmente diverso da quello ottenuto da altri, proprio perchè derivante da un proprio giudizio arbitrario.
Il senso dell’obbligo normativo non è tanto l’esito della valutazione ma l’aver adottato il corretto approccio di giudizio, una sincera autocritica da parte del datore di lavoro che attribuisca il reale valore dei rischi, senza nasconderli.
Quali sono i rischi maggiori?
Lo sforzo richiesto al titolare dell’azienda sta nel “decidere” quali sono i rischi maggiori rispetto a quelli meno rilevanti, proprio per mettere in priorità di gestione i primi rispetto a quelli meno incidenti nei confronti dei lavoratori.
(Obbligo non delegabile) Nessuno lo può fare al posto suo
Una corretta valutazione sta nel dare evidenza che è stato fatto questo sforzo selettivo (che ricordiamo può essere diverso da persona a persona) per arrivare ad una classificazione dei rischi sul lavoro (o graduatoria come recita la definizione).
L’aver messo in fila i rischi aziendali, o ancor meglio, in ordine (classifica come recita la definizione) permette al datore di sapere quali affrontare e gestire per primi, destinando risorse e definendo tempistiche adeguate a seconda della gravità.
Il cerchio si chiude riferendo che, anche il Testo Unico Sicurezza, a termine della valutazione dei rischi richiede una “scaletta operativa temporale” , letteralmente un piano di miglioramento del tempo dove si definiscono tempistiche o scadenze per il governo dei rischi.